Il Clanis flumen: croce e delizia della Val di Chiana Umbra

Fiume Chiani tra Ficulle e Parrano

Elemento caratterizzante di tutto il territorio della Val di Chiana è fin dall’antichità il flumen Clanis, oggi in Umbria detto fiume Chiani e in Toscana Canale Maestro della Chiana. Con il suo corso ha influenzato per millenni lo sviluppo ambientale e umano delle aree da lui attraversate, dalla provincia di Arezzo (dove nasce) a quella di Terni (dove si immette nel fiume Paglia), passando per le provincie di Siena e Perugia, rappresentando una fonte di sostentamento ma anche un “mostro” contro cui lottare periodicamente.

Con il suo corso, infatti, ha sempre costituito un’importante fonte di approvvigionamento d’acqua potabile e di nutrimento, e nell’antichità fu un’importante arteria commerciale. Il fiume in epoca etrusca e romana, infatti, era navigabile, nonostante la lieve pendenza del suo corso rendesse necessari continui lavori di manutenzione.

Questi prevedevano la rimozione dei detriti portati dai suoi numerosi affluenti, poiché un eventuale interro ne avrebbe compromesso la navigabilità e lo avrebbe reso stagnante. Il Clanis costituì, dunque, un ponte tra il sud e il nord dell’Etruria, e successivamente con Roma, attraverso la sua confluenza nel Tevere (a sud di Orvieto), oltre la quale era l’antico porto fluviale di Pagliano.

Il territorio della Val di Chiana nella sua interezza, sottoposto per la gran parte al dominio della città etrusca di Chiusi, era molto fertile e ricco di boschi, con corsi d’acqua pescosi. Questa valle, infatti, fu considerata per lungo tempo il granaio di Roma, tanto che la città fornì alla città legname per la costruzione delle navi e derrate alimentari per i soldati nel corso delle Guerre Puniche. Una realtà completamente diversa da quella che nel Medioevo descriverà Dante nell’Inferno (XXIX 46-51), ossia una zona malsana e malarica soprattutto durante l’estate.

Nell’attuale territorio di Fabro, ai piedi della frazione di Carnaiola, fu costruita probabilmente in epoca etrusca una chiusa mobile, anche se non vi sono attualmente testimonianze archeologiche che confermino questa ipotesi. Questa infrastruttura potrebbe esser servita per regolare la portata del fiume e facilitarne la navigazione, come suggerisce già alla fine del XVIII secolo anche Vittorio Fossombroni nel suo Memorie idraulico-storiche sopra la Val di Chiana. Si chiede anche a che cosa sarebbe servito bloccare con una struttura muraria il fiume se questo era navigabile! La leggenda tira in ballo addirittura l’Imperatore Nerone che lo avrebbe fatto costruire nel 65 d.C. per limitare le alluvioni di Roma. Ma anche in questo caso non vi sono prove a suffragio di questa affermazione.

Questa struttura sembrerebbe essere rimasta attiva fino al Medioevo, quando fu trasformata in un ponte in muratura, e prese il nome di Muro Grosso. Secondo la storiografia locale, il ponte fu costruito dagli Orvietani nella prima metà dell’anno 1000 per osteggiare l’avanzata dei Perugini in Val di Chiana alla conquista di Chiusi.

Le uniche due date certe in tutta la sua storia, però, sono molto più tarde. Il 1598. quando Papa Clemente VIII ne ordinò il restauro, facendolo rialzare e rinforzare trasformandolo in un muraglione lungo quasi cento metri, largo sei e alto quasi cinque. L’altra è quella del 1643, durante la Guerra Barberina, quando i Fiorentini lo distrussero pensando di provocare un’inondazione di Roma.

Il celebre impaludamento che colpì la Via di Chiana, invece, si compì definitivamente con l’avvento del Medioevo, quando il lento abbandono del fiume, iniziato dopo la caduta dell’Impero Romano, giunse al culmine. La mancata manutenzione dai detriti comportò l’innalzamento del fondale, rendendo il fiume sempre più stagnante e permettendo alle sue acque di espandersi liberamente, occupando grandi porzioni di territorio pianeggiante.

La valle, quindi, fu progressivamente occupata da ampie zone acquitrinose, tranne nei punti in cui le acque erano più profonde e pulite. Queste aree erano dette, infatti, “chiari”, come il Chiaro di Cortona, il Chiaro di Montepulciano e il Chiaro di Chiusi. Nel territorio umbro era presente il Chiaro di Città della Pieve a cui si associavano alcuni ristagni più piccoli in prossimità della frazione Santa Maria di Monteleone d’Orvieto e nella pianura di Carnaiola dove oggi sorge Fabro Scalo. Dalle cartografie del XVII e XVIII secolo, infatti, le colline di Poggio Cavaliere e Poggio Valle, detto nel XVI secolo Tenuta di Troscia (voce dialettale che indica uno stagno) entrambe a Città della Pieve, e Poggio Corno nella pianura di Monteleone d’Orvieto, vengono rappresentati spesso come emergenti da aree paludose.

Più che il Chiani, però, nella Val di Chiana Umbra il problema furono i numerosi fossi che in esso si immettevano. Questi, infatti, a carattere torrentizio erano capaci di lunghi periodi di magra per poi trasformarsi con le piogge in fiumi in piena. Numerosi sono i consigli comunali di Fabro, tra ‘600 e ‘700, in cui si ordinavano interventi di rifacimento degli argini da parte della comunità o da parte di frontisti, ossia coloro che avevano un tratto di torrente nelle loro possidenze.

Fabro con i suoi fossi principali (1724)

I più citati sono il torrente Aricente (Argento), il fosso Borgone, il fosso della Fargna e la forma del Padule. Nel 1629, ad esempio, fu ordinato che venissero risanati il Fosso di Borgone, il Fosso della Fargna e la Forma del Padule e la Forma delle Tagliate e che avessero la solita forma [1]. Nel 1651, invece, viene ordinato di allargare il corso del torrente Argento in contrada le Sterte, poco oltre l’attuale casello autostradale [2].

I nomi della toponomastica locale di epoca medievale come Vallis Insula e Collis Insula relativi a Monteleone di Orvieto, o quelli ancora rilevabili nella cartografia IGM, come Bagnaiolo, Laghetto, Molino nel comune di Città della Pieve, Pian del Porto, Chiaro, Padule, Pantano nel comune di Fabro, Troscia (acqua stagnante) e Cannucceto nel comune di Monteleone d’Orvieto rimandano ad un ambiente di tipo lacustre-fluviale.

Fin dall’epoca romana, però, vi era la convinzione che il Chiani fosse la causa delle periodiche inondazioni che investivano la città di Roma, poiché anticamente era tra i maggiori affluenti di destra del Tevere. Per secoli, infatti, anche dopo la fine del mondo antico, si lottò contro questo fiume e le sue piene.

La concretizzazione di tutti gli sforzi avvenne alla fine del ‘700 con il Concordato tra Stato Pontificio e Granducato di Toscana, le due entità che si dividevano questo lembo di terra. Nel 1780, nella Chiesa di Sant’Agostino di Città della Pieve, lo Stato Pontificio e il Granducato di Toscana firmarono il Concordato per la Bonificazione delle Chiane nei territori di Chiusi e Città della Pieve che diede inizio alla vera a propria bonifica della Val di Chiana. Questa comportò la divisione dell’antico fiume in due tronconi mediante la costruzione di uno spartiacque artificiale situato a Sud del Chiaro di Chiusi, ancora visibile e funzionante detto Grotton Grosso, e la realizzazione di due regolatori in muratura al Passo della Querce, in territorio toscano, e al Bastione del Campo alla Volta, nello Stato Pontificio. Nel territorio di Città della Pieve è ancora ben visibile il Callone Pontificio, il regolatore in muratura munito di cataratte per il passaggio controllato delle acque.

Questi lavori diedero origine, quindi, al Canale Maestro della Chiana, da Chiusi verso l’Arno, e il canale del Chiani, da Chiusi verso il Tevere. Questa divisione comportò una minore portata d’acqua per il Chiani, che da affluente del Tevere si trasformò in un affluente del fiume Paglia, quando prima era il contrario.

Nella Val di Chiana umbra, questo causò uno stravolgimento dell’ambiente naturale: deviazioni e regimentazioni dei corsi dei torrenti discendenti dalle colline, colmate di terra per coprire dislivelli e asciugare i ristagni, come testimonia il toponimo Colmata nel comune di Fabro. Lo stesso fiume Chiani fu deviato dal suo corso naturale. Le carte del XVII secolo pre-bonifica, infatti, mostrano il suo letto transitante ad est della collina di Poggiovalle, dove attualmente transita la ferrovia, mentre oggi scorre ad ovest dello stesso colle ed è costeggiato dalla strada SP 308, che prima della bonifica non esisteva.

Autore: F. Bianco

Note
[1] ASCF, Consigli Comunali 1627-1655 (archivio non inventariato)
[2] ASCF, Consigli Comunali 1627-1655 (archivio non inventariato)

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