La Comunità di Fabro VS il Pievano di San Martino

L’Archivio Diocesano di Orvieto conserva un documento davvero interessante: gli atti della difesa della Comunità di Fabro che adì al Tribunale della Sacra Rota contro il Pievano Don Angelo Patrizi della Parrocchia di San Martino nel 1752. Motivo di tale disputa legale? Chi dovesse finir di pagare i lavori della nuova chiesa di San Martino e su chi dovesse ricadere l’onere del suo mantenimento e della sua cura. Una disputa che ebbe inizio nel 1600, 2 anni dopo l’inizio dei lavori nella nuova chiesa, e finì, forse, nel 1752, anno della data del documento. Il testo fu scritto dall’Avvocato romano Carlo Maria Francucci difensore della Comunità fabrese, chiamato dal Marchese Antinori che sposò la causa dell’amministrazione comunale [1].

Della chiesa di San Martino non si conosce la data di fondazione e questo induce a ritenere la sua origine molto antica. Essendo documentata già nel catasto del XIII secolo possiamo dedurre che il suo aspetto originario dovesse essere di stampo romanico-gotico di cui però non è rimasta nessuna traccia attualmente visibile. La chiesa fu sempre ben governata e retta dai pievani, come si evince dalle visite pastorali del XIV secolo [2]. Ma nel 1573, il Vescovo di Orvieto Monsignor Binarino, nel suo viaggio attraverso la diocesi [3], la trovò ridotta in pessimo stato, cosa che non era mai avvenuta in precedenza.

Il Vescovo ordinò nuovamente a Don Orazio Baroncelli, l’allora pievano, di restaurarla. Il pievano, infatti, aveva ricevuto lo stesso ordine in una precedente visita, probabilmente del 1568, ed essendo trovato in difetto per il mancato adempimento dei precedenti mandati (gli ordini) fu obbligato a pagare una multa di 10 scudi.

La vetus ecclesia, la vecchia chiesa, definita anche antiqua, era in rovina e fatiscente, con grande pericolo per i fedeli che si recavano a messa. L’incuria era tale da rendere evidente la mancanza anche della manutenzione ordinaria, si direbbe oggi, ed infatti le pareti erano pericolosamente crepate e le fondamenta erano in bella vista. Il motivo di questo stato di cose però non è noto. La Comunità di Fabro, quindi, per sua liberalità e devozione decise di metter mano alla chiesa e stante la situazione decise di costruire una nuova chiesa dalle fondamenta, iniziando i lavori il 28 maggio del 1598.

Come noto dai documenti dell’archivio comunale, la nuova chiesa fu costruita su progetto di Ippolito Scalza e fu edificata nel sito di quella vecchia. Il presente documento dice, inoltre, che, come consuetudine, la chiesa antica fu rasata e su di essa fu alzata la nuova. È probabile, quindi, che togliendo il pavimento della chiesa attuale possa emergere ciò che resta di quella precedente.

La Comunità, quindi, essendo promotrice della nuova fabbrica, pagò i primi soldi necessari per l’inizio di lavori sicura della promessa del pievano, Don Annibale Fabrizi di Ficulle, di contribuire con 100 scudi, di cui però ne vide solo 10.

Nel 1600 i fabresi avevano già speso circa 1000 scudi e il lavoro era a buon punto, quindi convocarono il pievano affinché pagasse lui il restante dei 100 scudi promessi attingendoli dalle entrate della chiesa, le decime e le offerte, come prescritto nei decreti del Concilio di Trento. Questi rispose di non voler dare un quattrino per non essere obbligato, e perché si vede che la Comunità con grandissima spesa ha ridotto detta Chiesa a buon termine.

Nel 1616 la Marchesa Livia Capranica, baronessa di Fabro, cercò di metter pace tra le parti, chiamando un perito. La questione fu risolta con l’obbligo per il pievano di pagare 150 scudi con cui avrebbe dovuto fare il baldacchino sopra il Ss. Sacramento, il vaso dell’acqua santa e il Fonte Battesimale, il campanile e tutto ciò che serviva per completare la chiesa. La Comunità dal canto suo avrebbe dovuto finire l’edificio.

Passati una trentacinquina d’anni, la risoluzione del 1616 non era stata applicata né dal pievano Fabrizi né dal suo successore Don Sebastiano Panaceni né dalla Comunità. Quindi, Don Sebastiano, nel 1641 con un esposto alla Curia, chiese che fosse la Comunità a finire tutti i lavori. I fabresi per evitare altre liti e controversie, decisero che avrebbero portato a termine i lavori e che il pievano avrebbe pagato solo 3 scudi, per il campanile e la scala. Questo lo fecero, e ci tennero a ribadirlo, solo per quieto vivere.

Anche nelle visite successive, del 1677, 1690 e 1692, al tempo dei preti Filippo Maccioni e Giuseppe Paci, la chiesa non era ancora conclusa mentre l’onere del mantenimento incombeva sul pievano, come sempre stato. Ed infatti, dopo le visite apostoliche restaurarono e ripararono la chiesa e la dotarono delle suppellettili sacre. Quando il pievano Paci morì nel 1716, la parrocchia passò a Don Carlo Pelucchi che, a causa nuovamente della mal conservazione della chiesa, fu obbligato dalla Camera Apostolica a restaurare la Chiesa di San Martino.

Questi erano gli antefatti riportati dall’avvocato Francucci con dovizia di particolari, il quale poi iniziò ad argomentare in difesa della Comunità contro l’ultimo dei parroci fabresi, Don Angelo Patrizi.

L’avvocato sosteneva che il pievano non potesse pretendere nulla dalla Comunità di Fabro e che la sentenza del 1641, che prevedeva tutto l’onere a carico della Comunità sia della fabbrica che della manutenzione, fosse ingiustissima. Infatti, i pievani percepivano dalla popolazione le decime, gli affitti e le rendite dei terreni, e che quei soldi servivano proprio per mantenere e curare la chiesa a dovere, come era sempre stato. Sarebbe stato sufficiente anche solo un quarto delle rendite per adempiere a quest’obbligo.

Di contro, l’avvocato del Pievano Patrizi sosteneva che la chiesa doveva essere mantenuta e curata dalla Comunità di Fabro perché quando quest’ultima decise di costruirne una nuova e pagò i 1000 scudi per i lavori, automaticamente ne divenne la proprietaria e rettrice, su cui per legge, di conseguenza, gravava l’onere del mantenimento. La Comunità, però, rispose che non aveva mai avuto intenzione di diventare padrona della chiesa, che invece era sempre stata di libera collazione. Questo significava che il rettore della chiesa era nominato direttamente dal Vescovo di Orvieto, come si evince anche dai documenti medievali [4].

Inoltre, il lavoro di edificazione era stato fatto per mera liberalità della Comunità non per obbligo, quindi questa non era tenuta a curare la chiesa nel proseguo dei secoli. La decisione di costruire un nuovo edificio, inoltre, era stata presa in un momento di eccezionale emergenza dato il pericolo per i fedeli e questo atto non poteva essere considerato una consuetudine a restaurare. L’amministrazione, infatti, aiutò il pievano per la nuova costruzione, mentre la manutenzione della chiesa poteva gravare senza problemi sulle rendite della pievania. Attività quest’ultima demandata ai pievani come chiaramente appariva sulla visita pastorale del 1573.

Infine, davanti alla protesta del parroco di essere in ristrettezze per le poche rendite della chiesa, l’avvocato rispose che in realtà era l’opposto, perché la Chiesa di San Martino aveva profitti di oltre 200 scudi l’anno, sufficienti al suo sostentamento e ad adempiere agli obblighi di manutenzione.

L’avvocato Francucci, quindi, smonta pezzo per pezzo la difesa del Pievano Patrizi, adducendo come testimonianze altre sentenze, provenienti anche da altre diocesi. Il resto del documento ripete a grandi linee gli stessi concetti, ossia che costruire un nuovo edificio in un momento di emergenza non costituiva consuetudine e di conseguenza nessun obbligo di manutenzione futura, mentre il mantenimento e la cura dovevano essere obbligo del Pievano.

Il documento, però, si conclude senza la sentenza definitiva, essendo gli atti della difesa.

Nel II volume del Sacre Rotae Romanae Decisiones di Fabio de Albertis (1783) è, invece, riportata la fine della disputa che si concluse a favore della Comunità di Fabro [5].

Autore: Francesca Bianco

Note:
[1] AVO, Fabro cartella 32, documento a stampa
[2] AVO, Codici A, B, C
[3] AVO, Visite pastoriali, Mons. Binarino (1573)
[4] AVO, Codici A, B, C
[5] Sacre Rotae Romanae Decisiones a Fabio de Albertis (1783), decisio 87

 

4 pensieri su “La Comunità di Fabro VS il Pievano di San Martino

  1. Veramente interessante la sua ricerca storica e un grazie di cuore per averla pubblicata e averci resi dotti di una verità mai saputa. C’era una storia del Castello, tramandata a voce da generazione in generazione ( alla fine era diventato un romanzo) dagli anziani che ora non ci sono più ma nessuno era riuscito a trovare qualcosa di concreto nell’archivio del comune di Orvieto. Grazie a nome di tutti i fabresi

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