Il Castello di Fabro: cuore del centro storico

Un castello é di norma il punto centrale di un centro abitato di origine medievale. Alcune volte, con il passare del tempo lo sviluppo urbano dell’insediamento ne ingloba la struttura, altre volte, invece, questo non accade e l’edificio rimane visibile e distinto dal paese circostante. Quest’ultimo é il caso del castello di Fabro ben definito e distinguibile nel tessuto urbano del centro storico e nel panorama della bassa Val di Chiana. Probabilmente il motivo è da ricercare nella dimensione contenuta del paese e dalla struttura geologica su cui esso si è sviluppato.

Come si è visto in un precedente articolo riguardante l’origine dei castelli dell’Alto Orvietano, il castello di Fabro può essere inserito tra i castelli/insediamenti nati nel primo incastellamento, ossia tra il X e la prima metà del XIII secolo. L’incastellamento è quel fenomeno che vide la popolazione sparsa nelle campagne accentrarsi attorno ad un insediamento sentito come maggiore, guidato da un signore o un gruppo signorile detentore del potere locale.

In questa dinamica, quindi, l’embrionale villaggio di Fabro, che doveva contare poche decine di individui, divenne il punto focale dell’area, diventando nel corso del tempo un vero e proprio insediamento fortificato.

Nel 1118, epoca a cui risale la prima citazione dell’abitato di Fabro, il territorio sottoposto a questo villaggio era a grandi linee delle stesse dimensioni di quelle censite nel 1278, le quali rimasero più o meno immutate fino alla metà dell’800. I confini, infatti, dovevano correre sul fiume Chiani, il torrente Argento, il fosso Anciola e parte della via Trainana Nova, all’epoca ancora ben presente nel territorio. Un’area di grandi dimensioni paragonata all’esiguità dell’abitato. Non si sa, però, chi fosse il signore di questa piccola corte, ma probabilmente doveva appartenere alla nobiltà orvietana o forse chiusina, e si chiamava Fabro, da cui il nome del villaggio.

Una prima parziale descrizione del insediamento fortificato di Fabro l’abbiamo, invece, nel Catasto Orvietano del 1292, che, come si è visto più volte, è tra i primi catasti italiani. Da qui emerge che quello che oggi è complessivamente il centro storico di Fabro all’epoca era costituito da due elementi: il castello e il burgo ai suoi piedi.

Il castello si distingueva per la presenza di mura, al cui interno erano la sede signorile, appartenente all’epoca a Guglielmo di Cristoforo, nobile orvietano, le case degli abitanti ed un pozzo. Il castello e la cinta muraria, infatti, doveva contenere tutto l’antico insediamento nato appunto tra il X e la metà del XIII secolo.

Il borgo, invece, era un’area abitativa più recente destinata per lo più alla coltivazione, dove avremmo visto altre case, orti più o meno grandi e l’antica chiesa di San Martino, sorta probabilmente qualche secolo prima del primo insediamenti di Fabro.

Questa zona, nel catasto orvietano, era definita burgo Fabri, ossia il borgo di Fabro. Con il termine burgo, infatti, si indicava un agglomerato senza mura nato al di fuori della fortificazione. Quest’area oggi dovrebbe corrispondere alla strada che gira attorno al castello e alla strada che conduce verso Piazza San Basilio.

L’unione del castello e di questo burgo era chiamato Castrum Fabri, che appunto indicava complessivamente l’intero villaggio di Fabro.

Si può, quindi, affermare che il castello rappresenti il nucleo originario del paese di Fabro, accanto alla chiesa di San Martino.

La particolarità del castello è che per secoli contenne interamente il paese di Fabro, dal signore e ai suoi abitanti. Infatti, è possibile che la costruzione delle abitazioni in muratura fuori dalle mura castellane sia avvenuta in un secondo momento, nel secondo incastellamento corrispondente al periodo di redazione del Catasto Orvietano. La loro posizione circolare che segue il profilo del castello suggerisce un possibile innesto delle case su una seconda città muraria o forse su di un semplice terrapieno difensivo.

Il castello che vediamo oggi, sebbene possegga ancora la caratteristica forma a mandorla dei castelli alto-medievali, non è l’antico edificio medievale. Questo, infatti, subì numerosi danneggiamenti durante le guerre tra Monaldeschi e Filippeschi, e poi tra Muffati e Malcorini. Non si ha la certezza, quindi, che la torre fosse nello stesso posto in cui si trova ora, ad esempio, o che il palazzo baronale avesse avuto fattezze e dimensioni simili alle attuali.

Progetto di Antonio da Sangallo – 1535 circa

È probabile che l’aspetto odierno del castello sia frutto dell’intervento di restauro voluto dai Bandini di Città della Pieve nei primi decenni del ‘500 e commissionato ad Antonio da Sangallo il giovane. Il castello e tutto il paese, infatti, nel 1497 furono teatro di una cruenta battaglia tra i Bandini e gli Orvietani, che vide la caduta di Fabro e che comportò danni al castello. Il restauro, almeno in parte, gli conferì l’aspetto che vediamo oggi. E’ possibile, infatti, che la piazzetta sia stata costruita proprio in quel periodo, eliminando forse delle abitazioni preesistenti e dando al palazzo baronale un ingresso signorile. Probabilmente fu creata la cisterna, ma non è chiaro se in quel momento furono costruiti anche il torrione e la torre che conosciamo oggi.

È accertato, però, che fin dalle origini il Comune di Fabro si trovasse all’interno del castello.

Il Comune di Fabro nel 1818

Nello statuto dei primi del ‘500, voluto da Nicola Bandini di Castel della Pieve, si legge che nel Palazzo Priorale, come era definito, vi era l’ufficio e l’abitazione del Vicario (il rappresentante del Signore che non abitava in paese), l’ufficio del Camerlengo (il Tesoriere), altri ambienti per i balii (pubblici ufficiali), il sindico (sindaco) e per il consiglio comunale. In un documento del 1674 è riportata, ad esempio, la richiesta della Marchesa Girolama Chigi Lanci, allora padrona del Castello di Fabro e del suo distretto, di poter acquistare qualche stanza del Palazzo Priorale. L’acquisto di queste stanze lascia supporre, quindi, che l’antico comune occupasse in origine buona parte del corpo centrale del castello, e che poi sia stato smembrato stanza per stanza, fino a rimanere con due soli ambienti nel XIX secolo, ossia la Sala del Consiglio Comunale e la Casa del Consiglio.

Di aspetto completamente diverso era l’accesso al castello. Quella che oggi è una lunga scalinata, fino poco meno di 100 anni fa era una monumentale rampa in terra battuta costeggiata da un alto muraglione difensivo, oltre il quale era una scarpata di breccia e argille. Per questo motivo le abitazioni presenti alla base di questa scarpata avevano l’ingresso sull’attuale Via degli orti.

Alla base della rampa, molto più elevata rispetto a quella della scalinata attuale, era presente un ponte levatoio, attestato ancora con certezza alla fine dell’800. La rampa, superato il ponte, scendeva verso la piazza del paese, costeggiando le mura del castello da un lato e con un parapetto dall’altro. Ai piedi del parapetto, correva una stradina che portava alle prime case dell’attuale Via del Castello, senza andare oltre.
Questo stato di cose mutò radicalmente negli anni ’30 del XX secolo, quando le infiltrazioni d’acqua e la poca manutenzione portarono al rovinoso crollo di buona parte di questo settore di mura castellane. La scelta fu quella di ricostruire le mura con pendenza e aspetto diversi da quelle originali, di eliminare la rampa e il ponte levatoio e di non ricostruire le abitazioni perdute con il crollo, ecco perché oggi abbiamo una semplice piazzetta. Il lavoro fu eseguito a spese del Comune e dello Stato.

Sebbene non citate direttamente nello Statuto, all’interno del castello vi erano anche le prigioni, come indicato dal catasto del ‘700, ed erano situate in quella che una volta era una torre a sé stante ed oggi un’abitazione privata che affaccia sulla seconda piazzetta del castello. Quella zona nei primi del ‘700 era definita appunto contrada la Torre e quella che oggi è la piazzetta, come si diceva poco sopra, fino agli anni ’30 era costituita di abitazioni sovrapposte, con un delizioso affaccio ad archi verso la piazza del paese di proprietà pubblica.

Il castello, quindi, costituendo la parte principale del paese, ospitava anche il forno comunale e la casa parrocchiale, oggi corrispondenti entrambi alla casa alla destra della chiesa di San Michele, che fu edificata su edifici preesistenti nel 1630.

Nel castello erano presenti anche una taverna e un macello. Questo è testimoniato dallo stesso Statuto cinquecentesco, nel libro delli Malefitii che regolamentava le vendite di beni ed alimenti e le produzioni artigianali.

Il macellaro, ad esempio, doveva vendere carne sana e non malata alla pena di 100 soldi per ogni vendita. Questa regola valeva, però, solo all’interno delle mura castellane, perché fore delle Porte del dicto Castello si poteva vendere la carne in qualsiasi condizione e senza pena.

I lavoratori del lino e della canapa, invece, avevano l’obbligo di lavorare tali materiali nelle immediate vicinanze delle mura castellane, ad una distanza di 5 canne (circa 11 metri). Quindi possiamo immaginare attorno al castello cataste di lino e canapa in attesa di essere battute e pettinate oppure matasse da lavorate con telai. La zona dedicata a queste lavorazioni doveva essere quella vicino al fontanile della Cisterna, poichè dall’altro lato (oggi Via del Castello) era presente la ripida scarpata che giungeva fino alle abitazioni e permetteva l’accesso solo al castello.

Il castello, quindi, rappresenta il cuore del paese di Fabro, dove la vita quotidiana si è intrecciata alle attività economiche e amministrative per secoli, un luogo che ha costituito per la popolazione un baluardo contro le minacce esterne entro cui rifugiarsi. Motivo per cui andrebbe tutelato e preservato dallo scorrere del tempo, da arditi e arbitrari restauri o lavori fatti un po’ alla carlona.

Autore F. Bianco

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